La paura fu la costante di tutta la mia carriera scolastica: il suo chiavistello.
Daniel Pennac
E quando divenni insegnante la mia priorità fu alleviare la paura dei miei allievi per far saltare quel chiavistello, affinchè il sapere avesse una possibilità di passare”

Daniel Pennac – scrittore, insegnante e romanziere francese- fa della sua storia scolastica un manifesto sulla scuola.
In “Diario di scuola“, la sua critica del sistema scolastico tradizionale si fa forte e pungente.
Quella che esce dalla sua penna non è solo la sua storia, ma quella di tantissimi studenti costretti a vivere una difficile quotidianità che, spesso, determina tutto il loro percorso futuro.
Ai ricordi autobiografici mescola riflessioni pedagogiche, sulle universali disfunzioni dell’istituto scolastico e sul ruolo della famiglia.
Scava nei solchi dei giorni e degli anni, rovista incessantemente nel “mal di scuola” fino a che non non spunta un Daniel adolescente, stanco e ormai rassegnato al suo triste destino di “somaro”.
Così si definisce e così si ricorda, somaro.
Bravissimi i fratelli, stupiti i genitori, un figlio così proprio non se lo aspettavano…
Lui, dislessico e disortografico.
Inerme e inerte di fronte alla scuola e alle sue richieste.
Di fronte a quella scuola che non si accorge delle sue difficoltà e lo relega all’angolo.
E in quell’angolo Daniel si adagia. Assume un ruolo, quell’identità scolastica che gli mancava.
Distorta, irreale e crudele, ma sua; l’unica identità possibile per lui e sviluppa anche l’unica passione possibile: quella del fallimento.
“Ogni sera della mia infanzia tornavo a casa perseguitato dalla scuola. I miei voti sul diario dicevano la riprovazione dei miei maestri. Quando non ero l’ultimo della classe, ero il penultimo. (Evviva!) Refrattario dapprima all’aritmetica, poi nella matematica, profondamente disortografico, poco incline alla memorizzazione delle date e alla localizzazione dei luoghi geografici, inadatto all’apprendimento delle lingue straniere, ritenuto pigro (lezioni non studiate, compiti non fatti), portavo a casa risultati pessimi che non erano riscattati nè dalla musica, nè dallo sport nè peraltro da alcuna attività parascolastica.”
Rimane lì nel suo angolo e irebbe giocato il suo ruolo fino alla fine se…
Se non fosse arrivato il giorno dell’incontro, quando un professore non si “accorge” di lui e del suo dolore e gli lancia un’ancora di salvataggio per uscire da quell’angolo.
E a quell’ancora Daniel si aggrappa e la sua storia prende un’altra strada.
Pennac inizia ad amarsi.
Dall’angolo alla cattedra.
Una cattedra da cui lancia ancore e dalla quale è possibile trasformare l’apprendimento in un’esperienza piacevole e stimolante capace di permetta ad ogni alunno di seguire le proprie curiosità e di esprimersi secondo la propria creatività.
E la scuola, finalmente, si fa il luogo dove prevale la gioia dell’apprendimento e non la logica del voto; il luogo dove al posto della paura del giudizio c’è rispetto ed empatia, un luogo in cui ognuno possa realizzare a pieno la propria personalità, nei tempi e nei modi che lo contraddistinguono.
Come?
Con una sola parola che Pennac ci lascia alla fine del suo libro, amore.
Amore per la cultura, amore per il proprio mestiere, amore per gli alunni, tutti, amore per la lettura.
Amore, per vincere le sfide e per godere dei tanti successi e dei tanti trionfi.
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